Incipit – Athluntynos; Concorso UrbanGods



Questa storia non ha un inizio, o una fine.
Questa storia è oscurata dall’ombra nera del passato dimenticato e si perde nella luce di un futuro fatto di mille possibilità diverse.
Ciò che è scritto qui è pura verità, e possano gli dei torturarmi fino alla fine dei giorni se mentirò.
La leggenda che vi sto per narrare è stata ricostruita con molte difficoltà e innumerevoli sforzi, dopo anni di studi e di lavori.
Taluni dicono che essa non dovrebbe mai essere raccontata al mondo, perché l’esistenza dell’uomo è fragile nelle sue certezze, e la portata di questa scoperta farebbe vacillare anche il più sicuro tra gli esseri umani.
Antichi libri sono stati studiati per l’ultima volta prima che l’aria li riducesse definitivamente in polvere, manoscritti segreti sono stati consultati, parole ormai da molto tempo dimenticate hanno rivisto la luce e terribili azioni ed avvenimenti rivissero nelle nostre menti.
Luoghi meravigliosi ed eroiche imprese vennero riscoperti: storie di cavalieri e signori oscuri; scontri fra dei e uomini, che nella loro potenza sollevarono la terra e la fecero sprofondare nel mare; sfavillanti torri, audaci navi e impavidi guerrieri che conquistavano la fama e l’onore.
Ecco i fatti che portarono da una tale gloria alla più cieca e miserevole condizione la città di Athluntynos, conosciuta anche come Atlantide, la Città Perduta.
Questa è la sua vera storia.

Il Sorriso del Condor – Racconto Concorso ARCI Pinerolo


Era semplicemente meraviglioso.
Talmente meraviglioso da fargli dimenticare di dover rimanere in formazione.
L’auricolare crepitò nel suo orecchio, e la voce metallica del generale gli rimbalzò seccamente nel cervello riportandolo alla realtà.
-Soldato Wilburne, si può sapere dove sta andando? Ritorni immediatamente in formazione-
Le scariche elettrostatiche erano fastidiose come il ronzare di un insetto dentro il casco.
L’ultima chicca della scienza inglese: comunicazioni radio a onde medie tra velivoli, perfezionate dopo anni. E ancora sembrava di avere uno sciame d’api nell’abitacolo per il ronzio.
Il pilota dell’aeronautica sospirò all’ordine.
-Si, signore-.
Cullò dolcemente la cloche, fino a quando non fu certo di essersi messo nella posizione assegnatagli nel gruppo.
Erano in sei, disposti a freccia nell’immensità del cielo azzurro e sconfinato.
La giornata era perfetta per volare: non c’era troppo vento in quota e la visibilità era magnifica.
Il suo caccia Spitfire rispondeva ad ogni suo minimo tocco. Un cagnolino di quattromila libbre che svolazzava nell’aria come un aeroplano di carta.
Controllò l’altimetro. Diecimila piedi.
Vide, a poche iarde da lui, un altro caccia librarsi nell’azzurro.
Il pilota al suo interno gli fece un cenno, con le dita della mano chiuse tranne l’indice e il pollice, tesi, che si muovevano avanti e indietro.
Era un gesto che si facevano da quando erano piccoli: quando sognavano di volare sul campo di grano tra le loro fattorie, piegando le spighe dorate, le braccia allargate e gli occhi chiusi per immaginare meglio il cielo.
Tom e Chris avevano da sempre un solo sogno: volare.
E lo avevano raggiunto insieme.
Il disegno della testa di un condor sotto il parabrezza luccicò ai raggi del sole quando lo Spitfire verde e grigio vicino a lui dovette rallentare per non andare fuori assetto.
-Il tuo Condor mi sorride- disse Tom
-Allora sorridi di rimando!- rise Chris.
Era un loro rito scaramantico per augurarsi di potersi rivedere sulla terraferma e non sotto.
Volare, bucando le nuvole.
Sarebbe stato perfetto, se non fossero stati in guerra.
Il giovane soldato britannico controllò ancora che le armi fossero disponibili: il quadro comandi gli rispose con le rassicuranti luci verdi che ormai rappresentavano il linguaggio del suo aereo.
Molto al di sotto, i bassi monti inglesi tendevano le loro rocce appuntite verso di loro, invidiosi di non poterli raggiungere.
-Sempre tra le nuvole, vero T om?-
-Come sempre amico mio. Come sempre-
Risero, l’uno dell’altro.
Poi tutto cambiò.
Successe molto velocemente.
Da un banco denso di nubi, a più di un kilometro di distanza, uscirono prima due, poi quattro, infine dieci punti neri a grande velocità.
Non c’era alcun dubbio su cosa fossero: caccia Wurger tedeschi, le “Averle” del cielo.
Il generale lanciò un’imprecazione che gracchiò nelle orecchie dei soldati, poi l’inferno salì in alto, staccandosi dalle viscere della terra, e piombò su di loro.
La formazione si distrusse mentre ogni Spitfire prendeva una direzione diversa.
Tom perse Chris nell’istante in cui quest’ultimo cabrò alla propria destra per evitare una raffica di traccianti che sibilò a pochi metri dalla sua fusoliera.
Il disegno del condor svanì, e lui rimase solo.
Un proiettile passò vicinissimo all’ala, tanto da far sbalzare via la vernice, e il sergente Tom Wilburn imprecò sotto voce.
-Vuoi ballare, biondino? E allora balla con me- mormorò mentre virava a sinistra, a più di trecento miglia orarie.
Nel farlo, scorse con la coda dell’occhio la figura agile e snella del caccia dell’Asse.
Fece un rapidissimo calcolo.
L’Averla era la risposta tedesca alla supremazia inglese nei cieli, l’uomo nero sotto il letto di ogni aviatore alleato.
Erano caccia Wurger, ottimi nella discesa ma non nella risalita. Tom sapeva che avrebbe dovuto approfittare di quel minimo vantaggio per poter passare da inseguito a inseguitore.
Sopra di lui vide una sagoma prendere fuoco e precipitare in una densa spirale di fumo.
Il pilota della Supermarine inglese lanciò il suo Spitfire in picchiata, anche se non veloce quanto avrebbe voluto: la forza d’inerzia dovuta alla discesa ad alta velocità avrebbe potuto bloccare il flusso di carburante, facendo spegnere il motore, un’eventualità che Tom sapeva di dover tenere ben presente.
Nonostante ciò, il terreno gli veniva incontro a una velocità spaventosa, mentre l’altimetro continuava a scendere.
Tom udì il motore Rolls-Royce Merlin faticare per mantenere dritto il muso.
Ad un tratto sentì un rumore metallico molto forte: proiettili da tredici millimetri che potevano far esplodere il petto di un uomo a trecento metri di distanza lo sfioravano e passavano oltre, tracciando fili dorati davanti a lui.
L’Averla aveva abboccato.
Era ormai a meno di tremila piedi dal suolo. Duemila. Millecinquecento.
-Ancora un po’..- disse stringendo i denti.
Altri traccianti passarono attorno alla fusoliera, sopra e sotto le sue ali. Il motore rombava nelle sue orecchie.
Novecento piedi.
-Avanti!- esclamò eccitato, mentre sentiva il suo corpo ribellarsi a quella situazione di pericolo.
Vedeva i campi verdi, le strade sterrate, un trattore abbandonato in mezzo a un campo, una macchia d’alberi.
Seicento piedi.
-Adesso!- gridò, e tirò la cloche verso di sé.
Lo Spitfire iniziò a puntare gradualmente verso l’alto, molto lentamente.
Troppo lentamente.
-Tira su il tuo bel musone, avanti!- esalò il pilota, le mani fredde sotto i guanti, la fronte imperlata di sudore.
Era sotto i trecento piedi, la lunghezza di un campo da calcio. Ce la poteva fare.
Vide comparire l’orizzonte sul suo parabrezza, quando all’improvviso qualcosa si parò davanti a lui.
Una cisterna! Una vecchia cisterna dell’acqua!
Non ebbe il tempo di reagire e continuò spasmodicamente a tirare verso di sé la cloche a meno di novanta piedi dal suolo.
Sentì un tonfo sordo quando la punta della costruzione di metallo arrugginito strisciò la pancia del suo caccia.
Quello che udì dopo, fu invece un boato tremendo.
Il Focke-Wulf dietro di lui non aveva visto in tempo il cilindro di metallo e, complice il suo scarso potere di risalita, vi era finito dentro in pieno.
-Sì!- Tom compì una parabola e diede un’occhiata al caccia avversario.
Non rimaneva nulla della costruzione che gli aveva intralciato il passaggio.
Al suo posto v’era solo un cratere fumante a poche iarde da dove sorgeva la cisterna. L’Averla tedesca era solo più una massa infuocata a ridosso di un campo di grano.
-Questa la racconterò ai tuoi nipotini quando diventerai vecchio!- rise in preda all’adrenalina Tom
Le sue parole caddero nel vuoto.
Un pensiero, lento e strisciante, raffreddò la sua anima ancora bollente dallo scontro con il Focke-Wulf.
Puntò verso il cielo aperto prendendo rapidamente quota.
Era distante un paio di chilometri dal luogo dell’avvistamento delle averle, ma ci mise pochi secondi per ritornarvi.
-Ce l’ho dietro! Ce l’ho dietro! Qualcuno lo abbatta, qualcuno.. –
La trasmissione si interruppe bruscamente. Qualche scarica elettrica nell’etere, niente più.
Dal suo parabrezza vedeva finalmente i lampi dei traccianti tingere l’azzurro. Fece un profondo respiro e rientrò nella mischia, trattenendo il fiato come chi si butta sotto la pioggia.
Sotto di lui uno Spitfire ridusse un’Averla in mille pezzi infuocati
Il capitano Riley dava prova della sua esperienza acquisita in oltre due anni di guerra.
-Chris… dove sei?- mormorò Tom.
Ne era certo: quel silenzio non voleva dire niente.
L’immagine del caccia dell’amico, che saltava in aria come l’Averla colpita da Riley, era qualcosa di troppo terribile per essere vero.
Chris non era sicuramente morto, altrimenti nel mondo sarebbe successo qualcosa di terribile. L’universo non sarebbe rimasto indifferente e una tale sciagura! Sicuramente il sole non sarebbe più sorto il giorno dopo e il cielo avrebbe perso il suo colore.
Invece il cielo era ancora lì, azzurro e indifferente.
Flash passarono davanti ai suoi occhi.
Un tavolo di legno, pane e marmellata; loro due bambini, loro due che tornavano dall’accademia in congedo, loro due che si ubriacavano in birreria, loro due che pilotavano per la prima volta un aereo.
Si ritrovò in picchiata, sfiorando le quattrocento miglia orarie.
Fu allora che li vide.
L’Averla lo inseguiva, con gli artigli sfoderati.
Il Condor cercava di sfuggirgli ma era troppo lento.
Tom vide il Wurger tedesco mettersi in coda per fare fuoco con le sue mitragliatrici da tredici millimetri.
Così planò verso sinistra, tagliando la strada al caccia tedesco che apriva il fuoco.
Mentre vedeva i traccianti venirgli incontro, si sentì meravigliosamente bene, come se la sua vita fosse stata concepita unicamente a quello scopo.
Vide lo Spitfire di Chris e vide il suo amico osservarlo colmo di terrore per quello che stava accadendo.
Tom alzò la mano e tese l’indice e il pollice, facendoli ondeggiare avanti e indietro.
Prima che il mondo diventasse un globo di fiamme, l’immagine del Condor sul muso dello Spitfire di Chris luccicò per l’ultima volta davanti ai suoi occhi.
A Tom sembrò che sorridesse.

La Vista del Sangue – Prefazione per un concorso della città di Torino


La vista del sangue aveva sempre sconvolto Giulia, per questo aveva impiegato quasi dieci minuti a chiamare la polizia.
Era rimasta aggrappata alla maniglia della porta del salotto, quasi sperando che richiudendola tutto sarebbe tornato a posto, tutto si sarebbe cancellato dalla sua memoria.
Ma non era stato così.
Si sforzò di non vomitare e si premette una mano davanti alla bocca, mentre barcollava verso i gradini freddi dell’androne, fuori dall’appartamento.
Nella sua mente flash improvvisi balenavano impietosi.
Rivide la striscia di sangue larga quanto lei che usciva dal bagno e attraversava il corridoio, impregnando il parquet chiaro, mentre la televisione accesa nel salotto trasmetteva ad alto volume i soliti gossip da due soldi.
Strinse forte la ringhiera di ferro al suo fianco e si rannicchiò su se stessa, scossa da un brivido.
I capelli castani, lunghi e mossi, cadevano disordinatamente a coprirle il viso.
Si ritrovò a piangere senza emettere alcun suono, gli occhi castani che liberavano lacrime salate.
Il corpo di Luca era riverso a pancia in giù, in una posa plastica, composta. Un braccio era rivolto all’indietro; l’altro, girato in avanti, sembrava voler raggiungere il tavolino di legno sopra il tappeto che avevano comprato insieme una domenica mattina di un mese prima, quasi a raggiungere la tazza di tè ancora fumante poggiata lì sopra.
Non l’avrebbe più bevuta.
Ascoltò i propri singhiozzi, mentre la luce artificiale delle scale immacolate spandeva il suo falso bianco sui muri puliti tra una porta e l’altra. Rimbalzavano nel silenzio.
Il silenzio.
Qualcuno aveva spento la televisione!
Mentre Giulia alzava inorridita la testa, comprendendo cosa quel particolare volesse dire, anche la luce tremolò e si spense.
La ragazza represse un grido, terrificata.
Erano delle luci a tempo, così di moda negli anni novanta, che dopo un po’ si spegnevano.
Respirando affannosamente, cercò un punto luminoso su cui basarsi.
Doveva assolutamente riaccendere la luce, senza si sentiva cieca!
Si alzò a tentoni, le ginocchia molli e il fiato corto.
Sì! La piccola luce rossa, che senza l’oscurità quasi non si vedeva, era la sua salvezza.
“Ancora un passo.. solo un altro passo..”
Allungò la mano: ce l’aveva quasi fatta!
In quel momento la luce inondò nuovamente l’androne e Giulia scoprì di essere a pochi centimetri dal pulsante.
Qualcuno l’aveva già premuto per lei.
Non ebbe tempo di gridare, quando una mano le tirò indietro la testa.
Sentì il gelido abbraccio di una lama, che le disegnò un sorriso cremisi da un orecchio all’altro.
Illogicamente, la ragazza pensò che si sarebbe sporcata di sangue la camicetta bianca, ma presto anche quel pensiero scomparve e cadde nel vuoto.